Il “caso Pellizotti” è l’ennesima conferma di ciò che l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani sostiene da sempre: il passaporto biologico è un’arma adeguata per la lotta al doping se usato come strumento d’indagine, induttivo, ma non può assolutamente essere accettato come strumento coercitivo, come unica prova per fermare un atleta.
Dopo aver saputo dell’assoluzione del corridore veneto, fermato il 3 maggio scorso alla vigilia del Giro d’Italia su richiesta dell’Uci che gli imputava valori anomali nel passaporto biologico, Amedeo Colombo (presidente dell’ACCPI) si è così espresso: <>.